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Le poesie inquiete, ironiche e falsamente naif, di Mirko Morandi sulla vita quotidiana

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Il disegno di Marco Martinelli che “commenta” la poesia “Condannato a scrivere”

Nel marasma dei libri di poesie che vengono indegnamente pubblicati ogni giorno, accade spesso di perderne qualcuno che meritava di essere letto. È il caso delle poesie di Mirko Morandi, 46 anni, che alla fine della terza media ha cominciato a lavorare, ma non ha mai smesso di studiare, di leggere, di scrivere. E da autodidatta ha trovato una sua vena e una sua lingua, raggiungendo in poesia un risultato interessante.  Il caso di Mirko Morandi è uno dei quegli autori che meritano attenzione, ma i cui libri si perdono appunto nella massa di libri inutili. I suoi (tre finora) mi sono capitati tra le mani per caso, li ho letti e la qualità mi ha indotto a parlarne, in forma di “recupero” di libri dispersi, o ormai pubblicati da tempo. Del resto, la memoria oggi è molto labile. Grandi poeti, morti da pochi anni, vengono infatti subito dimenticati. Ne cito solo uno (ma sono a decine): Basilio Reale Mirko Morandi appartiene alla prima casistica, cioè i libri che si perdono nella confusione dell’ipertrofia editoriale (quasi sempre a pagamento). Avuti i suoi libri tra le mani, sono rimasto incuriosito e ho cercato qualche notizia biografica. Per molti anni ha fatto il venditore ambulante nei vari mercati della Lombardia. Ma ora, dopo aver chiuso quell’attività, per via della crisi economica degli ultimi anni, ha trovato lavoro come operaio, specializzazione macellaio, in un’azienda di distribuzione di carni bovine e suine ai grandi centri commerciali e supermercati.  

Lo studio e la ricerca linguistica ha portato Morandi a una finitezza che promette ancora buone cose. Ha pubblicato tre raccolte, come si suol dire, autoprodotte, con l’aiuto di un prete molto impegnato nel sociale, con il quale per un certo tempo ha collaborato come volontario in aiuto di diseredati ed emarginati, e dal quale ha avuto i primi apprezzamenti e un sostegno morale.

I libri: Gelido benessere con aneliti di cambiamento (editrice lumini, 2005, pagg. 70), The Jocker’s shot into the stars (editrice lumini, 2005, agg. 175) e El traje de luces (editrice lumini, 2006, pagg. 62). La sua poesia è un’altalena di flash di vita vissuta. I suoi versi sono ritmati, in genere senza rima, con cadenze naturali non accademiche. Verrebbe da definirli naif, se la definizione non depistasse. I sentimenti sono quelli di tutti i giorni di un uomo comune, umile e desideroso di approfondire le cose. L’autore  si schermisce e quasi quasi chiede scusa di scrivere poesie. Ma i versi sono sicuri, e spargono inquietudine, e spesso anche autoironia. Non si prende sul serio e fa bene. Il risultato è che scrive con serietà e con abilità. La sua umiltà non è incertezza, è solo modestia. Ma nelle sue parole c’è un senso di compiutezza, ma anche anelito ad ampliare gli spazi di conoscenza, di passione, di civismo. Qualche volta leziosamente usa un poetare desueto, in cui abbondano le parole tronche. Ma è un vezzo che lo ha sopraffatto quando si è innamorato della psicologia del torero dominatore e vittima insieme, e dalla contraddizione della folla che inneggia al coraggio ma disprezza il sangue. Ma è cosa passata. Oggi i suoi versi sono asciutti, secchi, rapidi.

Un particolare simpatico: i disegni che accompagnano le sue pagine, quasi come commenti, sono di Marco Martinelli, il suo amico di sempre, di viaggi, di svaghi, e di discussione. Il tratto è leggero, quasi da vignettista. Ironizza anche lui sulla quotidianità e l’assurdità di certe situazioni, fornendo letture parallele e divertenti delle poesie “esistenziali” dell’amico ora provocanti ora amare. Anche lui appare sincero come un naif (senza esserlo realmente). La connotazione più realistica è che ha il tratto di un illustratore, senza volerlo sminuire.

La sincerità di vita di Morandi comunque non esclude la finzione letteraria, quindi l’enigma.  Basta leggere il pensiero espresso dal padre Bepi che Morandi cita in esergo al volume Gelido benessere con aneliti di cambiamento. Dice: “Non bisogna rimanere ignoranti, ma nemmeno troppo intelligenti”. Non so se interpreto bene: se si resta ignoranti non si capiscono le cose del mondo e forse se ne soffre; ma se si è troppo intelligenti non ci si spiega mai veramente perché il mondo gira in un certo modo e ci si tormenta sui perché. In un modo o in un altro gli uomini soffrono delle loro incomprensioni. O almeno così dovrebbe essere. Leopardi invece estremizzava annotando che solo chi non sa non soffre. Ma la piccola filosofia poetica di Morandi è scritta nell’autoprefazione a questo libro, in forma di autointervista giocosa e autoironica. Cito. Domanda: “Cosa non riesci ad aspettare?”. Risposta: “Il mondo con i suoi computer, con le sue genti importanti che affliggono gli afflitti, inconsci che il potere che hanno non viene da loro ma dagli afflitti che glielo consentono”. Più realista di così! E con una punta di pietà risentita verso i cinici del potere!

Propongo la lettura di tre poesie, tratte dai suoi tre libri:

 

Condannato a scrivere

Ululati al vento

affossati gli occhi neri

tumefatti di botte

vagabondo reietto

ramingo  nel mondo

 

Remota condanna

per chi scrive

su ignuda terra

amara anima mia

 

Veglio nell’ora sconsolata

duro crepitare nell’aria

i miei piedi inciampati

dallo sgambetto

rialzato mi sono

senza sgomento

          Da Gelido benessere … (2005)

***  

 

Sguardo d’amore

Fra i dedali di siepi

composte dal tuo labirinto

i miei passi profondi

fuggivano zirlando i tordi

col fruscio viscido delle serpi

 

un pettirosso sorpreso

dalla sua ferita evidente

volando via da quel lungo muro

scalcagnato con i suoi calcinacci

attoniti al mio passaggio

 

le acque si dividevano a metà

la terra tremula strozzata

era sola

e io che v’ho tanto amato

ancora non lo capisco

       Da The joker’s shot into the stars (2005)

 

***

 

Vagabonda luce

I moti tuoi

in  ampi deliri per un deserto

mi menano

 

quando i corpi

nel magico amplesso s’incontrano,

come l’edera che avvinghia il muro.

 

L’amor celato.

Di mezzo l’ombra

che in essa, vagabonda luce

favilla.

             Da El traje de luces (2006)

In quest’ultima raccolta ogni poesia è accompagnata da una nota in prosa, che spiega – per così dire – come è nata la composizione. Un procedimento inusuale, in cui l’autore alterna per ogni poesia una corrispondente prosa poetica, che vorrebbe essere complemento, ma che invece vive di luce propria.  Ecco il testo che accompagna Vagabonda luce:

“Il pensiero deriva dal fatto che mi è occorso da fanciullo osservando l’edera che avvinghiava dolcemente il muro sparti-confine del vecchio cascinale. Là stava sempre l’ombra ma mai una querela fra i proprietari volò tra quel confine di calcinacci abbracciati da tanta naturalezza. Pensai  che in quel modo avrei amato la mia prima donna”.


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